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Demon Copperhead – Recensione del romanzo vincitore del Premio Pulitzer

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Recensione: Demon Copperhead, la storia di un ragazzo per cui è impossibile non fare il tifo.

Non servono troppe premesse: Demon Copperhead è un’opera bellissima. Barbara Kingsolver prende la struttura di David Copperfield di Dickens e la trapianta nei monti Appalachi, senza perdere nulla del suo impatto emotivo, anzi, donandogli nuova linfa.
Il legame con David Copperfield non è un vezzo narrativo: è la spina dorsale del romanzo, visibile fin dal titolo e nei nomi che suonano come eco deformate dell’originale. Non è una semplice citazione: è un trasferimento genetico. Kingsolver prende la struttura dickensiana — il ragazzo nato nel posto sbagliato, nel corpo sbagliato, con zero privilegi — e la reinnesta nel cuore crudo dell’America contemporanea, senza perderne l’essenza.
Il risultato è una riscrittura che non scimmiotta, ma dialoga. Non omaggia, ma costruisce sopra.
E ci riesce senza mai inchinarsi all’originale, ma con la sicurezza di chi sa esattamente cosa sta facendo.
Ma il vero cuore del romanzo pulsa nella sua critica. Demon Copperhead è una denuncia costante — non strillata, non retorica — ma inesorabile. Pagina dopo pagina si fa largo una visione spietata della società americana: il sistema sanitario che esclude, il collasso dei servizi sociali, la dipendenza costruita e alimentata da Big Pharma, e persino lo sfruttamento dello sport scolastico come unica via di salvezza per chi nasce povero.
Kingsolver non cerca di redimere il mondo, ma lo racconta com’è. Con lucidità. Con rabbia controllata. Con una compassione ruvida, ma sempre presente. Demon Copperhead è un romanzo potente, che lascia il segno. Non per l’intenzione pedagogica, ma per la sua capacità di mostrare senza filtri ciò che accade quando la società fallisce sistematicamente nel proteggere i più fragili.
Un libro necessario, che fa male nel modo giusto.
E che, per fortuna, è anche scritto divinamente.
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